Ma Bologna è città chiusa?
Roberto Roscani
Molti anni fa, una trentina ormai, in un´intervista, Natalia Ginzburg, annotava con disappunto il fatto che con l´arrivo del metrò il centro di Roma stava cambiando. La fermata di piazza di Spagna sfornava decine di ragazzetti delle periferie che il centro non l´avevano mai visto, che non lo amavano, che erano pronti a stropicciarlo con le grida ad alta voce, con le bravate, con un´educazione arrangiata e malferma. C´era in quell´intervista un senso di spossessamento strano, di rabbia e di qualcosa che appariva snobismo.
Che c´entra quel ricordo di Natalia Ginzburg con Bologna del 2006? Molto, credo. Certo le dimensioni del problema urbano e dei modi di «consumare» la città e la sua notte sono molto cambiate. Ma la questione di fondo resta. Ci sono zone a Bologna come in tante grandi città, che si sono andate «specializzando» per i consumi giovanili, per il concentrarsi di esercizi e di pub. di ristoranti e di punti di appuntamento. La domanda è: si tratta semplicemente di un problema o anche di una risorsa urbana? Insomma Bologna (o Roma, o Amsterdam, o Londra, o Dublino…) sarebbe una città migliore se la sera d´estate la gente restasse di più a casa sua? C´è da credere di no.
Poi c´è il problema dei residenti, dei loro comitati, del «malessere», del rumore, di quello che a Bologna si chiamerebbe degrado. Parola strana usata per piazze e quartieri dove gli appartamenti si vendono e si comprano a migliaia di euro al metro quadro. Dove un letto si affitta (in nero) a 350 euro al mese, dove la «specializzazione» del quartiere è stata metabolizzata come un valore dalla rendita edilizia e come un problema dagli abitanti.
Il problema dei problemi è se si riesce a far convivere due domande diverse e sostanzialmente legittime (non parliamo delle aggressioni dei punkabestia o degli sfasciatori di bottiglie ché lì il problema è sostanzialmente di ordine pubblico) senza deludere aspettative ma anche senza chiudere a chiave la città come fosse una casa privata. Cofferati ci prova bloccando la vendita di alcolici. Esperimento già fatto e senza risultati strepitosi lo scorso anno. Nessun coprifuoco ma neppure «Bologna città aperta» e a rimetterci di più sono gli esercizi dei primi immigrati legali integrati insieme agli studenti con meno soldi in tasca. Ma non è che alla fine aveva ragione quel dirigente del sindacato di polizia che invocava più gabinetti chimici (e più sorveglianza, più presenza) e un po´ meno provvedimenti coercitivi?
Pubblicato il 29.06.06