L’intorpidimento morale dell’esercito più morale del mondo
di Uri Avnery
«Sembra che Nasrallah sia sopravvissuto», hanno annunciato i giornali israeliani, dopo che 23 tonnellate di bombe sono state scaricate nel sito di Beirut dove si riteneva fosse bunker del leader hezbollah. Alcune ore dopo il bombardamento, Nasrallah rilasciava un’intervista ad al-Jazeera.
Ma i nostri ministri hanno deciso che questo è l’obiettivo. Non che ci sia gran novità in questo: diversi governi israeliani hanno usato questa tattica di uccidere leaders di gruppi avversari. Il nostro esercito ha già ucciso, fra gli altri, il leader hezballah Abbas Mussawi, il numero due dell’ Olp Abu Jihad, come anche Sheikh Ahmad Yassin ed altri capi di Hamas. Quasi tutti i palestinesi, e non soltanto loro, sono convinti che persino Yasser Arafat sia stato assassinato.
E i risultati? Il posto di Mussawi è stato preso da Nasrallah, ben più abile. Lo sceicco Yassin è stato sostituito da leaders ben più radicali. Al posto di Arafat ora abbiamo Hamas.
Come per altre questioni politiche, una mentalità triviale governa questi ragionamenti.
E’ vero che siamo una democrazia. L’esercito è interamente soggetto all’estabilishment civile. Secondo la legge, il primo ministro è il comandante supremo dell’esercito (che in Israele include marina ed aviazione). Ma in pratica ultimamente è il più alto militare in grado a decidere di qualsiasi questione militare o politica. Quando il generale Dan Halutz dice ai ministri che il comando militare ha deciso di questa o quella operazione, non ci sono ministri che osino opporsi. Tantomeno i ministri laburisti.
Ehud Olmert si presenta come l’erede di Churchill («lacrime, sudore e sangue»). Il che è abbastanza patetico. Poi ecco Amir Peretz che gonfia il petto e strilla minacce in tutte le direzioni il che, se possibile, è ancora più patetico.
Non è più un segreto che questa guerra è stata pianificata a lungo. I corrispondenti militari hanno dichiarato orgogliosi questa settimana che l’esercito si è preparato per questa guerra per anni nei minimi dettagli, mentre i politici e i generali proclamavano che «mai più entreremo nel pantano libanese, mai più invieremo forze terrestri laggiù». Adesso ci siamo, nel pantano, ed ampie forze terrestri operano laggiù.
Anche sul lato opposto di sono preparati per anni a questa guerra. Non soltanto si ammassavano migliaia di missili, ma hanno anche messo a punto un elaborato sistema di bunkers, tunnels e caverne alla maniera vietnamita. Adesso i nostri soldati si scontrano contro questo sitema e ne pagano l’alto prezzo. Come al solito, il nostro esercito ha trattato gli arabi con sufficienza sottovalutandone le capacità militari.
E’ uno dei problemi della mentalità militare. Tayllerand non si sbagliava quando diceva che «la guerra è un’affare troppo serio per lasciarlo in mano a dei generali». La mentalità dei generali, per professione ed educazione, è per sua natura orientata alla forza, semplicistica, unidimensionale, per non dire triviale. Si basa sulla convinzione che i problemi si possano risolvere con la forza. E se non funziona, con più forza.
Tutto ciò è ben illustrato da come è stata pianificata e condotta questa guerra. Si sono basati sull’assunto che se noi imponiamo sofferenze terribili alla popolazione libanese, questa insorgerà chiedendo l’espulsione di hezbollah. Una cognizione minima della psicologia di massa suggerirebbe il contrario. L’uccisione di centinaia di civili libanesi, appartenenti a tutte le comunità etnico-religiose, l’aver fatto della vita altrui un inferno, la distruzione delle infrastrutture civili libanesi solleverà tempeste di furia ed odio, ma contro Israele, non certo contro gli eroi, come vengono visti, che sacrificano le loro vite in difesa del paese.
Il risultato sarà il rafforzamento di hezbollah, non soltanto oggi, ma per gli anni a venire. Forse sarà il principale risultato di questa guerra, più importante di quasiasi vittoria militare, se ve ne saranno. E non soltanto in Libano, ma in tutto il mondo arabo e musulmano.
Di fronte agli orrori mostrati in tv e tramite internet, anche l’opinione pubblica sta cambiando. Ciò che veniva visto come l’inizio di una risposta giustificata dalla cattura di due soldati adesso sembra l’azione barbarica di una macchina da guerra fra le più brute.
Migliaia di mailing lists hanno messo in circolo una orribile serie di foto di bambini mutilati. In coda, una macabra foto: allegri bimbetti israeliani che scrivono «saluti» sui missili in procinto di essere lanciati. Poi compare un messaggio: «grazie ai bambini israeliani per questo bel regalo. e grazie al mondo, che non fa niente». Firmato: i bambini di Libano e Palestina.
In generale, quando sono gli ufficiali di un esercito a determinare la politica di un paese, seri problemi morali insorgono.
In guerra, un comandante è obbligato a prendere dure decisioni. Indurisce il proprio cuore. Come disse il generale Amos Yaron dopo il massacro di Sabra e Chatila: « I nostri sensi sono stati intorpiditi».
Anni di occupazione militare nei Territori palestinesi hanno causato un’estremo intorpidimento nei confronti delle vite umane. L’uccisione di dieci o venti palestinesi al giorno, e fra questi donne e bambini, come accade in questi giorni a Gaza, non scuote nessuno. Non fa neanche notizia. Gradualmente, non si sentono più neanche le espressioni più trite, come «Ci dispiace…non volevamo…siamo l’esercito più morale al mondo…», e così via.
Questo intorpidimento si svela anche in Libano. Ufficiali dell’aviazione, sereni e tranquilli, siedono di fronte alle cineprese e parlano di «gruppi di bersagli» come se non si trattasse neanche più di esseri viventi. Ultimamente, la parola più in voga fra i generali è «polverizzare»: li stiamo polverizzando, i palazzi vengono polverizzati, la gente viene polverizzata.
Persino il lancio di missili contro le nostre città non giustifica questa ignoranza di qualsiasi considerazione morale nel combattere una guerra. ci sarebbero stati altri modi di rispondere alle provocazioni degli hezbollah, senza bisogno di polverizzare il Libano. L’intorpidimento morale si trasformerà in un grave danno politico. Soltanto uno stupido può ignorare la morale, perchè, alla fine, essa si prenderà sempre la sua rivincita.
E’ persino banale dire che è più facile cominciare una guerra che finirla. Non si sa mai come finirà.
Abbiamo cominciato una guerra di qualche giorno. l’abbiamo resa una guerra di qualche settimana. adesso parlano di mesi. Il nostro esercito ha iniziato con una «azione chirurgica» dell’aviazione, dopodichè ha mandato qualche unità in Libano, e adesso ci sono interi battaglioni che combattono là, ed i riservisti continuano ad essere chiamati per un’invasione di larga scala nello stille di quella del 1982. E c’è già chi vede uno sconfinamento del conflitto verso la Siria.
Finora gli Stati uniti hanno fatto tutto ciò che è in loro potere per impedire il cessate il fuoco. Tutto fa pensare che stiano spingendo Israele verso la Siria, un paese dotato di armi biologiche e testate nucleari.
C’è soltanto una cosa certa di questa guerra: non ne verrà niente di buono. Se c’erano speranze nel passato che il Libano arrivasse un giorno a stabilizzarsi, privando hezbollah del proprio pretesto alla militarizzazione, ecco che adesso abbiamo fornito al Partito di dio la giustificazione perfetta: Israele distrugge il Libano e soltanto hezbollah sta difendendo il paese. E non importa quanto durerà ancora questa guerra e con quali risultati: il fatto che qualche migliaio di guerriglieri hanno tenuto testa all’esercito israeliano per due settimane resterà fermamente impresso nella coscienza di milioni di arabi e musulmani.
Non verrà mai niente di buono da questa guerra , non per Israele, né per il Libano nè per la Palestina. E il «Nuovo Medio Oriente» che ne verrà sarà il peggior posto in cui vivere.
il manifesto
29 Luglio 2006