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BO-LAND OF THE LIVING DEAD: Fidel Castro: Una testimonianza
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BO-LAND OF THE LIVING DEAD

pubblicato il Aug 14, 10:43 PM
Fidel Castro: Una testimonianza

Fidel Castro: Una testimonianza
by lcalvarez Monday, Aug. 14, 2006 at 8:51 PM mail: luizo_alvarez@yahoo.es

Se Fidel ha qualcosa a che vedere con un dittatore, che buoni sarebbero i dittatori! Ho conosciuto molti politici di varie orientazioni, nel potere o al di fuori dello stesso. Nessuno ha o ebbe la profondità intellettuale e la dimensione umana di Fidel Castro.

Fidel Castro è il dirigente politico al potere da più tempo in tutto il mondo. Mi ricordo di un facchino all’aeroporto de L’Avana che, negli anni ottanta, insisteva nel provarmi che Fidel era il maggiore leader di tutta la storia. Citava Lenin, Stalin, Roosvelt, Mitterrand, vari altri che conosceva ed aveva studiato. Di tutti era meglio Fidel, per il suo profondo contatto col suo popolo, per la dimensione della sfida che rappresentava una piccola isola come Cuba competere con il maggiore potere nel mondo. In nessun momento poteva pensare, come la maggioranza della popolazione cubana, possibilmente la più politicizzata in tutto il mondo, di vedere in Fidel un’espressione di violenza, di imposizione, di dittatura.

Tuttavia, in gran parte del mondo occidentale, si vede sulla stampa quotidiana un’immagine completamente diversa di Fidel. Sempre minaccioso, sempre delirante, sempre disposto a difendere le cause contrarie agli Stati Uniti, sempre disposto a mantenersi al potere senza limiti. Quante cose terribili gli sono state attribuite, e se tuo dici qualcosa contro, ti insultano con tanti aggettivi e squalifiche che sembri un extra terrestre. Ti tolgono il microfono, sospendono la tua intervista nella televisione, ti tolgono dalle colonne della grande stampa e cose simili.

Ho accompagnato nei dettagli la rivoluzione cubana, dalla mia gioventù. Ho letto i suoi discorsi dalla Sierra Maestra. Ho studiato tutte le sue dichiarazioni. Ho convissuto con persone che andarono a vedere la rivoluzione cubana nella sua culla. Fino a che, molto più tardi, per varie ragioni, ho potuto conoscerlo personalmente nel Cile dell’Unità Popolare. Da allora, furono molte le opportunità in cui lo incontrai più direttamente. Non so se posso dire che sono suo amico perché siamo sempre stati trattando dei temi politici anche quando l’ho visto con poche persone. Ma ho la sensazione di avere in lui un compagno di lotte, un compagno attento e sempre molto educato, molto sensibile, molto preoccupato coi suoi compagni ed amici, con le persone in generale e con l’umanità, come un tutto unico.

Se Fidel ha qualcosa a che vedere con un dittatore, che buoni sarebbero i dittatori! Ho conosciuto molti politici di varie orientazioni, nel potere o al di fuori dello stesso. Nessuno ha o ebbe la profondità intellettuale e la dimensione umana di Fidel Castro. Nessuno riesce a mantenere lo studio sistematico di un problema per ore ed ore in tutti i suoi dettagli ed in tutti i suoi aspetti come Fidel. Nessuno è capace di mantenersi in una riunione accademica per alcune ore, molto meno per vari giorni con varie ore giornaliere (dalle 9 della mattina fino alle 12 della notte l’ho visto in varie opportunità). E se è vero che quando prende la parola è molto difficile fermarlo, è anche capace di ascoltare, annotare, rispondere esattamente a quello che gli è stato chiesto, e di tante altre manifestazioni di rispetto umano e di considerazione al lavoro intellettuale. Ma soprattutto è l’unico politico a livello di capo di stato che ammette di dibattere apertamente con quelli che divergono dai suoi punti di vista. Certamente nessun dirigente democratico che conobbi, ha questa qualità. In realtà, è l’unico che la pratica ampiamente, con passione e rigore, con autenticità. Devo correggermi: sta sorgendo un nuovo leader politico con questa qualità. Si tratta di Hugo Chavez. Bisognerà vedere se riuscirà a mantenerla per tanto tempo. Fino agli ottanta anni, come Fidel Castro. Credo che sia il primo discepolo di Fidel con questa caratteristica, che spiega in gran parte la sua lunga permanenza nel potere.

Mi sembra strano anche che Fidel non si diriga ai suoi subordinati con parole volgari e con ordini di imposizione, come succede nelle democrazie, a vari livelli. Quante volte ho ascoltato le spiegazioni di amici nel potere, che se non facessero così non sarebbero rispettati. Ho convissuto molto con subordinati ai quali piace l’imposizione del superiore come forma per scappare dalle responsabilità, come opportunismo e modo di fare carriera. C’è sicuramente molta gente così intorno a Fidel. Ma lui non sembra dover ricorrere alla violenza verbale per imporsi. Raccontano amici, che vissero i periodi iniziali della rivoluzione cubana molto vicino a lui, e dei dirigenti rivoluzionari, che le sue discussioni erano violente ed appassionate. Si può immaginare tutto questo solo nel mezzo dei temporali rivoluzionari, dove si prendono decisioni radicali senza sapere esattamente le loro conseguenze. Ho visto dibattiti violenti tra i sandinisti, perfino su temi tanto apparentemente distanti dalla rivoluzione come per esempio il ruolo della rima nella poesia. Vedere quegli uomini e donne armati discutendo le orientazioni della poesia con tanta passione sembrava qualcosa di surreale. Ma non c’era violenza nelle parole, l’uso di volgarità, tentativi di imposizione irrazionale. Io immagino così i dibattiti del periodo iniziale della rivoluzione, che purtroppo non ho potuto condividere.

Mi ricordo delle passioni che, ancora nel Cile tanto misurato e britannico, si sono prodotte durante il processo rivoluzionario dal 1970 al 1973, alle quali partecipai intensamente.

Col tempo, Fidel fu crescendo tra i rivoluzionari e magari molto pochi oggi oserebbero rispondergli. Ma quante volte lui stesso assunse l’autocritica, come nel fallimento del raccolto dei 10 milioni di tonnellate di zucchero nel 1967. Era magnifico vederlo di fronte a più di un milione di cubani nella piazza pubblica assumere tutte le responsabilità del fallimento e, subito, mettere la sua carica a disposizione del suo popolo. Non ho visto mai niente di simile durante i miei 50 e tanti anni di esperienza politica.

Un sentimento di debolezza del suo potere personale rimase nella mia mente quando nel 1985 l’invitai a partecipare al Congresso Latinoamericano di Sociologia che organizzai in Brasile. Era evidente la sua voglia di essere presente. Controllò la sua voglia di partecipazione quando gli proposi la creazione di una gran rivista di scienze sociali nella regione con l’appoggio di Cuba. Gli sembrò una gran idea e nominò due dei suoi rappresentanti per una riunione del giorno dopo, nella quale constatai attonito come il direttore del Centro dell’America Latina respingeva l’idea sotto il pretesto che la rivista del suo istituto aveva già questo ruolo. Non parlai mai con lui su questo tema ma questa fu una lezione molto forte sui limiti del suo potere.

Questa stessa impressione ebbe un sacerdote che partecipava alle gigantesche riunioni sul debito esterno che si realizzarono a Cuba nella stessa epoca. Questo prete, col senso di potere burocratico che ha ogni clericale, prese la parola per dirgli che era strano come lui poteva dirigere autoritariamente un paese come Cuba se per vari giorni partecipava tutto il tempo a riunioni ?maratoniche? di un’assemblea permanente che durava dalle 9 della mattina alle 12 della notte. Non vedo nessuno passandole messaggi e ricevendo ordini. Allora chi governa questo paese?, domandava attonito.

Mi ricordo che in questa opportunità, in conversazioni intime Fidel mi ha detto che si occupava essenzialmente dello studio dei grandi problemi mondiali e nazionali mentre i compiti di governo erano nelle mani del partito, delle assemblee popolari e delle nuove generazioni. Non credo che potesse mantenere questa posizione per molto tempo. Nel 1989 i russi sconvolgevano quegli accordi che Fidel descrisse nelle riunioni del debito come il nuovo ordine economico mondiale che Cuba aveva ottenuto di poter stabilire coi paesi socialisti.

Ma in mezzo a tutta questa responsabilità locale ed internazionale, era impressionante vedere Fidel, alcuni mesi prima, chiudere la sua partecipazione in una di queste riunioni del debito per assumere la direzione personale dell’aiuto di Cuba al Messico in occasione del terremoto violento che ha colpito questo paese. Lì, un’altra volta, il popolo cubano esercitava la sua solidarietà rivoluzionaria sotto la leadership del suo dirigente massimo. Mi ricordavo della voce di Allende nel gran terremoto del 1971 in Cile. Voce che non avevo ascoltato mai in altri dirigenti in occasioni simili. Ma ancora più impressionante era ascoltare la voce di un dirigente alzarsi per appoggiare i cittadini di un paese fratello.

Dov’¿è il dittatore? Nel comportamento, nel potere incontestabile, nel settarismo, nell’intransigenza, nell’oscurantismo intellettuale, nella distanza col suo popolo, nel non rispetto delle regole della più democratica costituzione mai realizzata fino alla costituzione venezuelana che però fu discussa, come quella di Cuba, con tutta la popolazione e votata dopo che il parlamento l’¿aveva terminata? Democrazia è potere del popolo e confesso che non conosco un altro paese dove questo potere è esercitato giornalmente dalla popolazione, come in Cuba. Dove i deputati dell’Assemblea popolare si sentono tanto responsabili per la vita del loro paese come il mio amico deputato popolare che mi invitò alla sua città vicino a L’Avana e diventò bianco di vergogna perché c’era un buco per strada nella sua città. Per questo lui si sentiva responsabile, perché avevano realizzato varie riunioni nel vicinato senza riuscire a risolvere il problema dal momento che, dopo che lo coprivano, il buco continuava ad aprirsi.

Non mi vengano a dire che sto occultando i problemi di Cuba. E’ lontana da me tale idea. Ho una gran coscienza di questi stessi e garantisco ai lettori che se qualcuno è cosciente di loro è Fidel Castro. Non lo sentii mai occultarli. Al contrario, mi ricordo specialmente della lunga conversazione con lui ed il governatore di Rio, Anthony Garotinho, nel 2000 sul fenomeno della povertà a Cuba, tema che lui stava studiando con una squadra di migliaia di giovani con la pretesa di realizzare un intervento definitivo sul problema. Era tale il suo entusiasmo sulla sua mobilitazione di forze in questa direzione che il giovane governatore si vedeva stanco mentre il vecchio rivoluzionario continuava domandando sulle esperienze delle politiche sociali in Rio di Janeiro e raccontando le sue esperienze su un fenomeno la cui estensione a Cuba lui ignorava fino a poco tempo prima.

Avrei tanto da raccontare sul mio compagno Fidel Castro. Voglio dare questa attestazione incompleta ma molto sincera in occasione dei suoi 80 anni. Ma è importante farlo nel momento della sua operazione chirurgica, che spero potrà superare bene. Parlo del più grande personaggio del Secolo XX, che ha molto da dare al secolo XXI questo gran movimento che si scorge a Cuba in questo momento sotto il titolo generale della ¿Battaglia delle Idee? Aprire Cuba verso il più profondo dibattito intellettuale che un paese abbia realizzato mai. Garantire l’educazione universitaria per tutta la popolazione.

Trasformare Cuba nel più colto e cosciente paese del mondo. Ricordiamoci che l’America Latina ebbe due esperienze fantastiche in questo senso: i casi del Costa Rica e dell’Uruguay che raggiunsero indici alti di educazione, qualità di vita e pace durante gli anni di benestare. Ma nessuno di loro lo fece circondato ed attaccato dal potere economico e militare più grande del mondo. Cuba lo può fare perché realizzò una rivoluzione profonda e perché ha un leader eccezionale. Sono d’accordo col facchino dell’aeroporto de L’Avana. Che onore godere della sua ammirazione tante volte manifestata e se lo merito della sua amicizia.