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BO-LAND OF THE LIVING DEAD: I tre poteri: chi comanda in città...
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BO-LAND OF THE LIVING DEAD

pubblicato il Aug 6, 09:25 PM
I tre poteri: chi comanda in città...

Cofferati e i tre poteri, chi comanda in città
di Alberto Statera
Da La Repubblica di sabato 3 febbraio

«Eccoti, sei tu, sei proprio tu che tanto tempo fa mi hai affibbiato sul giornale questo nomignolo di Cinese che mi rimane attaccato da quindici anni….». «Signor sindaco, per carità, se vuole mi pento, ma che dio glielo conservi quel nomignolo: meglio Cinese che Cinico». Cinico? Sergio Cofferati, liscio, levigatamente ieratico nel biancore del perfetto taglio di barba e nell´eloquio soave, compie cinquantanove anni e accogliendoci a Palazzo d´Accursio, dove regna da due anni e mezzo, stappa sobrio un paio di spumantini offerti dai collaboratori.

Ieraticamente, l´ex Cinese che da segretario generale della Cgil faceva quasi piangere uno come Lamberto Dini, accusandolo di “macelleria sociale” per la miniriforma delle pensioni prodotta da ministro del Tesoro, finge di non sapere che nella città ex “affettuosa” che oggi cerca di governare all´insegna di “law and order”, l´accusa di cattiveria si ribalta su di lui e ben altri sono gli appellativi che si è guadagnato per la sua “deriva thatcheriana”. In un crescendo che va da Conservatore a Podestà, da Despota a Kofferati, con il “K” che veniva usato negli anni di piombo per Francesco Cossiga ministro dell´Interno. O – orrore – “fascista di merda”, intonato nei cori dei centri sociali del Parco Nord, cui – peraltro con scarso successo – fu inibito persino il consumo di birra in confezioni di vetro alla “Street Rave Parade”, che il suo predecessore di destra Giorgio Guazzaloca lasciava invece consumare, con occhio benevolo per ogni giovanile sregolatezza. Bologna da capitale della goduria a capitale dei divieti? Cofferati da Robin Hood della classe operaia a conculcatore delle libertà civili, del keynesismo confortevole e della società morbidamente consociativa?

All´inizio, quando “bizzarramente”, come disse Massimo D´Alema, Cofferati fu catapultato sotto le Torri, era soltanto una questione di campanile. «E´ come andare a comprare i tortellini in Svezia», disse Luca Cordero di Montezemolo, essendo nato il futuro sindaco a Sesto ed Uniti, in provincia di Cremona. Allibirono i sindaci e i dignitari di partito quando, in una cena nella Bassa, lo videro versare un bicchiere di vino rosso nel brodo dei tortellini. Lui, per difendersi ieraticamente, raccontò senza convincere gli stupefatti astanti, che è una vecchia e nobile tradizione contadina chiamata “Sorbir d´agnoli” mischiare il vino col brodo per poi sorbirlo in piedi, con le spalle rivolte all´interlocutore, in segno di rispetto, visto che la mistura rilascia un odore piuttosto acre. Edoardo Raspelli gli dà ragione.

Ma oggi la questione non è più soltanto culinaria, il mugugno non è più sulla bolognesità o l´emilianità, ma sull´algida intransigenza, sulla scarsa propensione negoziale, che lo espone al fuoco incrociato da sinistra a destra, fino all´invettiva di Pier Ferdinando Casini contro «il peggior sindaco della storia di Bologna». Il peggiore? «Sergio è evaso dalla sua vita precedente», divisa il segretario bolognese della Fiom Bruno Papignani. Da Cinese a Cinico anche la valutazione del segretario della Camera del Lavoro Cesare Melloni che, con i segretari sindacali, annuncia – massima ingiuria – manifestazioni contro l´aumento dell´addizionale Irpef in piazza Maggiore proprio sotto le finestre del sindaco – sindacalista che deve raschiare 19 milioni per coprire il buco finanziario in un bilancio comunale da 500 milioni.

Con il suo successore alla Cgil Guglielmo Epifani è sceso il gelo. Per non dire di Rifondazione Comunista, che con il segretario Tiziano Loreti, spalleggiato a Roma da Franco Giordano, giura che mai e poi mai nel 2009 Cofferati sarà di nuovo il candidato sindaco. Fausto Bertinotti, l´antico avversario nelle battaglie interne alla Cgil, dal più alto scranno di Montecitorio tace, ma silenziosamente è con i suoi contro il Cinese. Vuoi vedere allora che in questo viaggio nelle città d´Italia alla ricerca del potere che quasi sempre si disperde in rivoli, nella “Bologna sazia e disperata”, come la definiva il cardinal Giacomo Biffi, o in quella “gaia e nichilista”, che descrive oggi il suo successore Carlo Caffarra, ben distante da quella pasoliniana “consumista ma comunista”, abbiamo scovato finalmente un “potere politico” che cerca ancora di farsi sentire sul serio nelle vesti di sindaco algidamente “anaffettivo”, che ha in uggia i «riformisti tra le nuvole», che va per la sua strada con gli sgomberi dei clandestini sul fiume Reno – i quali sarebbero finiti affogati nell´esondazione – che rompendo antiche tradizioni tacita i partiti nella spartizione delle poltrone pubbliche?

Una «Stalingrado in preghiera» disse qualcuno della Bologna di Dozza, Dossetti, Lercaro, e poi di Fanti, Zangheri, Imbeni, sede di un «compromesso socialdemocratico», come lo chiama Edmondo Berselli, che durava da cinquant´anni o, se vogliamo, di una vecchia melassa consociativa. Oggi si contano gli orfani più che di Stalingrado, di via Stalingrado. Da dove Giovanni Consorte, nato a Chieti, ma adottato a Bologna, coltivava con l´Unipol e le scalate dei furbetti il suo sogno di potenza e di ricchezza. Il successore Pierluigi Stefanini, ex operaio, ex sindacalista ed ex segretario del Pci cittadino sta asserragliato in via Stalingrado a ricostruire l´onore perduto. In giro si vede poco, ma col sindaco anaffettivo dialoga assai. Sono tanti i potenti o presunti tali che si vedono meno, soprattutto da quando Romano Prodi siede a Palazzo Chigi.

Basta salire sull´Eurostar del lunedì mattina verso Roma per trovarvi più o meno al completo l´establishment cittadino, come si diceva una volta. Quelli che restano, fino al sabato successivo raccontano le presunte confidenze prodiane dopo la messa a Santo Stefano con la signora Flavia, che i giorni feriali va a far la spesa col carrellino, ma non trascura di ascoltare le donne teo-dem sui Pacs e di condannare i sessantenni che corrono via dalle mogli per impalmare ragazze giovani, come a Bologna – e altrove – è tutt´altro che infrequente anche nei palazzi del potere. E´ chiusa la villa di Montezemolo in collina, nonostante le peristalsi in corso alla Fiera, di cui egli è rimasto presidente. Cofferati vuole liquidare le quote municipali sia nella Fiera che nell´aeroporto. Il governatore Vasco Errani vuole prendersele, tra le proteste di Giancarlo Sangalli, presidente della Camera di Commercio, che denuncia il conflitto d´interessi tra azionista e regolatore.

Fiera e aeroporto sono le aziende pubbliche più importanti della città, dopo Hera, l´azienda multiservizi che Tommaso Tommasi di Vignano, il quale il lunedì mattina fa con l´Eurostar il percorso inverso da Roma a Bologna, ha quotato in Borsa e portato in tre anni da una capitalizzazione di meno di un miliardo a 3,3 miliardi e a un Mol, margine operativo lordo, di 380 milioni, facendone la terza multiutility d´Italia e candidandola forse a diventare la seconda, se andranno in porto le fusioni che bollono in pentola. Solo un nano un po´ cresciuto, rispetto al colosso Enel verso cui da Bologna corre ogni lunedì il presidente Piero Gnudi, principe dei commercialisti e soprattutto principe sommo dei “trasversali”. Amico di Prodi e del coté di Beniamino Andreatta, l´ultimo padre nobile dei cattolici bolognesi che giace da anni in coma, lo è altrettanto di Pier Ferdinando Casini e di Gianfranco Fini. E´ lui il piccolo Cuccia bolognese, il nume tutelare degli imprenditori locali, i Maramotti, i Gazzoni. E´ lui che fece la fusione tra il Credito Romagnolo e la Banca del Monte, portando infine Rolo Banca in Unicredit, che adesso installerà a Bologna la direzione Retail. Senza di lui, senza il commercialista che anche i nemici giurati condividono come fosse un barbiere, qualche volta combinano guai.

Giuseppe Gazzoni Frascara, che da presidente del Bologna si impalmò cavaliere bianco contro il calcio corrotto, l´altro giorno con Mario Bandiera, titolare del marchio “Les Copains”, è stato indagato di bancarotta fraudolenta per il crac di Victoria 2000, la società che controllava il Bologna prima dell´era Cazzola. Cresciuto dai salesiani della Bolognina, Alfredo Cazzola, creatore del Motor Show, è titolare di Promotor International, uno dei maggiori gruppi in campo fieristico, ma soprattutto, dopo la Virtus Pallacanestro, due anni fa è diventato azionista di riferimento del Bologna. Come sempre, il calcio tira il cemento e Cazzola non fa eccezione: su 280 ettari alle porte della città vuole costruire la “Romilia”, nuovo stadio, un parco acquatico, un parco dell´auto, un parco sull´Europa, un centro tecnico, un campo da golf e un parcheggio per 16.700 auto. Investimento 500 milioni, posti di lavoro promessi 2000, nella città con un tasso di disoccupazione del 2,5 per cento, tra i più bassi d´Italia. Titolare di un gruppo di costruzioni è anche il presidente degli industriali Gaetano Maccaferri, entrato al 50 per cento nell´Editoriale “Corriere di Bologna”, che edita il nuovo dorso di cronaca bolognese, con Gino Cocchi della Carpignani, Alberto Vacchi dell´Ima, e Maurizio Marchesini del Marchesini group. Andrea Riffeser, nipote di Attilio Monti, il mitico nonno “Cavalier Artiglio” che gli lasciò “Il Resto del Carlino” e tante altre cose, non si scompone e riempie le suite dei suoi alberghi con le copie di “Cavallo Magazine”, “Lo Sperone” e, come se non bastasse, “Cavallo Sport”, la carta stampata vera la luce dei suoi occhi.

Dicono in città che non si può capire Bologna se non si completa la triade del potere: comunismo, finché c´era e ora quel che ne resta, chiesa e massoneria. Il Gran Maestro del Grande Oriente d´Italia Gustavo Raffi, ravennate, è appena venuto, ma non si sa se ha incontrato quello che da decenni è considerato il Cagliostro locale. Fabio Roversi Monaco, rettore storico della più antica Università d´Italia, ricca di 70 mila studenti, adesso da presidente della Fondazione della Cassa di Risparmio, distribuisce denari, per cui è più potente di prima, tanto più che fa ticket col parente Marco Cammelli, dirimpettaio del Monte. «Dalla massoneria mi dimisi nel 1985, in tredici anni ho incontrato solo galantuomini, ma dall´essere massone ho avuto un danno enorme», giura Roversi Monaco. Andate, per favore, a raccontarlo al suo successore Pier Ugo Calzolari, per il quale i tre pregressi lustri roversiani sono un incubo, non foss´altro che per le decine lauree ad honorem clientelari che l´università distribuiva a piene mani.

Si vede meno anche Angelo Rovati in piazza Maggiore – clandestini elemosinanti e signore in pelliccia a prendere il sole d´inverno al caffè Savoia – dopo l´incidente del progetto Telecom rovatiano che fece traballare Prodi il Cinese, in quei giorni in missione governativa a Pechino. Ma il Rovati c´è. E´ lui che, con 822 sponsor dichiarati, finanzia francescanamente “Ulibo”, acronimo di Università libera di Bologna, laboratorio politico, think thank del Partito democratico di Filippo Andreatta, e Salvatore Vassallo, inaugurato da Prodi in persona e da Giuliano Amato. A Sasso Marconi, Ca´ Vecchia, tanto per gradire, gli farà concorrenza la scuola di formazione politica dei diesse, con lezioni di Vittorio Prodi, uno dei fratelli presidenziali, Mauro Zani e Walter Vitali. Un buon inizio – non c´è che dire – per il partito unitario, di cui Bologna, non si capisce bene perché, si sente l´autentico laboratorio nazionale. Avvertite, per favore, se vedete sotto le Torri Bibi Ballandi, megaproduttore tivù, terza media, figlio di tassista, perché lui, il vero potere cittadino e ormai internazionale, solo lui sa mettere insieme comunisti e chiesa, Bob Dylan e Santo Padre, Orietta Berti e Stefano Bonaga, Siusy Blady e Pierferdi Casini, De Gregori, Morandi, politica, affari e spettacolo e arti varie. Bibi latita un po´, perso a Roma nel suo business miliardario, dicono che è diventato un po´ antipatico e arrogante. Stefano Benni se ne è già andato alla Bocconi, divorziando da Bologna e segnalando al pubblico ludibrio i “ruffiani culturali” bolognesi.

Ce l´avrà forse con Angelo Guglielmi, l´assessore alla Cultura che fu inventore della terza rete Rai, anche lui in fredda con il Cinico sindaco “anaffettivo”, che ha perso persino il fedele portavoce Massimo Gibelli, ex craxiano non pentito? Pierluigi Cervellati, da Venezia, dice che sì, che a Bologna è vero che si investono 6 miliardi e mezzo di euro in infrastrutture – tram, alta velocità, collegamenti – ma mancano le idee. Se le ha lui, le dica. E allora, in quest´orgia di rivendicazionismo western, sapete che c´è? C´è che occorre conservare a lungo il Cinese, persino il Cinico, nel biancore perfetto della sua barba, se è lui in qualche modo a sbriciolare cinicamente, come si conviene, le conventicole di provincia, se finalmente è lui a fluidificare un po´ la grande, appiccicosa melassa della magnifica Stalingrado masson-chiesastica sotto le Torri, sordo persino al primo “collettivo frocista” d´Italia, nel segno, se non di Tex Willer, di Philip Dick, l´amato autore di “Minority Report”, che della minoranza in fondo fa una forza.