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BO-LAND OF THE LIVING DEAD: Treme
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BO-LAND OF THE LIVING DEAD

pubblicato il Jul 3, 03:21 PM
Treme

Trem(at)e
Recensione della serie tv Treme
articolo a cura di Lorenza Negri

scritto il 30 Giu 2010

E’ la serie Hbo ambientata nella leggendaria New Orleans che svela le nefandezze del governo Bush nella gestione del dopo-Katrina. E’ Treme. E’ un capolavoro.
Trem(at)e

Come ha fatto l’ex giornalista e sceneggiatore David Simon a infilare tre capolavori televisivi di fila? Con un invidiabile talento e un ragguardevole coraggio. Dopo il superbo affresco dell’America dipinto nella prodigiosa The Wire, dopo la cinica Generation Kill e la sua scioccante ricostruzione dell’occupazione Iraq, Simon punta il dito contro l’ennesimo scandalo dell’amministrazione Bush, con Treme. Le tre serie sono accomunate dallo spirito di denuncia contro un governo che non si è solo macchiato di un’inqualificabile inettitudine, ma è mancato al primo dei suoi doveri, quello di proteggere la vita dei suoi cittadini: dalla Baltimora di The Wire – dove ogni capitolo era dedicato a un aspetto dell’amministrazione di Washington, dall’istruzione, alla politica, alla lotta al crimine – al deserto iracheno di Generation Kill – dove l’avanguardia dell’esercito statunitense veniva spedita in guerra accompagnata dalla disorganizzazione dei vertici, dalla carenza di dispositivi bellici e dalla scarsità di approvvigionamenti – alla New Orleans di Treme, emblema dell’ottusità, dall’incapacità e del disprezzo dimostrati da Bush nella gestione della catastrofe provocata dall’uragano Katrina, la storia si ripete puntuale.

Una catastrofe annunciata e non prevenuta – nonostante il precedente dell’esondazione del Mississippi nel 1927 avesse abbondantemente dimostrato che i levee, gli argini costruiti per contenere lo straripamento, erano insufficienti -, un evento atmosferico largamente sottovalutato che ha dimezzato la popolazione della parrocchia di New Orleans (e limitrofe). Città tra le più culturalmente ricche e originali d’America, Crescent City è stata sommersa dall’acqua e del fango assieme ai suoi cittadini, abbandonati per giorni sui tetti delle proprie case in balia delle correnti, dell’inedia, delle infezioni e dei saccheggi. Tre giorni, tra i 29 e il 31 agosto 2005, durante i qual l’uragano ha sfondato gli argini non adeguatamente rinforzati sommergendo buona parte della città. L’amministrazione Bush gestì l’aftermath – il post-uragano dei mesi successivi – in declinazioni ancora più imbarazzanti che Treme, in dieci episodi (il primo e l’ultimo diretti da Agnieszka Holland, regista di Poeti dall’inferno) mostra attraverso gli occhi di chi decise di non abbandonare la città. Nei giorni e nei mesi che seguirono il cataclisma, a coloro che persero la propria abitazione non restò che confidare nell’ospitalità presso parenti e conoscenti, lasciando New Orleans orfana di mezza popolazione, mentre chi non aveva un altro posto dove andare o non volle andarsene, dovette subire gli oltraggi della burocrazia che per mesi impedì la rioccupazione delle residenze agibili e sgombrò gli abusivi.

John Goodman e Sean Gormley in una scena di Treme Tra i cittadini a prender l’armi contro l’inanità governativa spicca Creighton Bernette, professore e scrittore benestante con il volto scontroso e la mole imponente di John Goodman; mentre si sforza vanamente di completare un romanzo allegorico sull’alluvione del ‘27, Cray esprime la sua rabbia a la sua costernazione nei confronti del governo attraverso pamphlet diffusi via Youtube. Il suo sfogo, efficacemente sintetizzato in “Fuck the fucking fucks!” si insinua nella rete e serpeggia tra i quartieri di New Orleans, sfiorando gli altri personaggi che si scontrano e incontrano per le via della città.
Ognuno, a modo suo, affronta il dopo-Katrina. La moglie di Cray, Toni (Melissa Leo, era il sergente Kay di Homicide, l’adattamento televisivo del libro reportage di Simon sul crimine a Baltimora) è l’avvocato di gran parte dei protagonisti, tra cui Ladonna (Khandi Alexander, la patologa Alexx di CSI Miami), proprietaria di un bar nel cuore di New Orleans, ma sposata in seconde nozze a un dentista di estrazione altoborghese che ha trasferito la famiglia a Baton Rouge. Tra i personaggi femminili più incisivi disegnati da Simon, Ladonna è forte e determinata come la Kima di The Wire: non si ferma davanti a nulla per ritrovare il fratello di cui non ha più notizie dopo l’uragano. La storyline dedicata a David apre una delle pagine più oscure e riprovevoli di cui si macchiò l’amministrazione locale, quella dei detenuti dispersi dell’O.P.P. (Orleans Parish Prison), la prigione della parrocchia di New Orleans che ospita prigionieri, per il 90% di colore, trattenuti per reati che comprendono l’ubriachezza, l’accattonaggio e le multe non pagate. L’OPP decise di tenere i detenuti in cella mentre l’uragano faceva saltare la corrente e bloccava l’apertura centralizzata delle celle; quelli che non perirono furono dirottati nelle prigioni delle parrocchie limitrofe e quelli scomparsi condannarono i familiari a lotte kafkiane contro la burocrazia e l’omertà dei vertici dell’OPP votati a insabbiare le morti, e quelli degli altri istituti rei di trattenere i carcerati per godere dei contributi statali della Fema (la famigerata Protezione civile federale degli Stati Uniti).

Treme: Wendell Pierce nella nuova serie HBO Post-Katrina significa anche arrabattarsi per sbarcare il lunario; nella città del jazz, l’ex marito di Ladonna, Antoine Batiste (Wendell Pierce, il detective Moreland di The Wire), è uno dei tantissimi jazz cats locali: trombonista della Second line (le bande musicali non ufficiali delle parate cittadine), ci conduce nell’affascinante, irresistibile vita a spartito di una città che pullula di vitalità artistica letteralmente a ogni angolo. Affiliato a molte brass band locali, Batiste campa suonando nei locali e invita lo spettatore a esperire il ritmo palpitante del cuore di New Orleans.
Treme è costellata di scene lunghissime dove a parlare è sola la musica, per quella che si preannuncia come la colonna sonora telefilmica più bella della Storia, anche per chi non capisce nulla di jazz, R&B e musica cajun e ignora chi siano Kermit Ruffins e Coco Robicheaux (ed Elvis Costello, che compare in due episodi ma senza esibirsi).
La parata della Second line per i quartieri di New Orleans apre la sequenza iniziale della serie attingendo alla vitalità insopprimibile della cultura locale, da preservare a ogni costo per unicità e varietà, ma che è invece costretta a preservarsi da sola. Fanno parte integrante di questa tradizione i festeggiamenti del carnevale, con le parate degli Indiani del Mardi Gras, gli animatori che sfilano per la città in favolosi costumi piumati ispirati alle tradizioni delle tribù pellerossa. La tribù del Big Chief Albert Lambreaux (Clarke Peters, il pacato detective Freamon di The Wire), osteggiata dall’insofferenza della polizia locale, è protetta dalla forza calma e risoluta di Lambreaux, incarnazione dello spirito e della cultura della città. Un’insieme di tradizioni, che come accennato, va tramandata a ogni costo, persuadendo i vecchi membri della tribù sparsi per l’America a tornare a casa per cucire gli elaboratissimi e coloratissimi costumi piumati e imparare le coreografie in tempo per il carnevale. Ed è ancora Big Chief a combattere le battaglie più dure, ribellandosi al governo che blocca il piano di ricostruzione e riassegnazione delle case agibili: la sua occupazione di protesta gli costerà, crudelmente, la carcerazione in concomitanza con il carnevale.

Treme: Steve Zahn in una scena della nuova serie HBO Ognuno, a modo suo, combatte il sistema; anche Davis (Steve Zahn, Sahara) come Cray e Chief, denuncia le inadempienze e intraprende una curiosa campagna elettorale a suon di rime anti-Bush. Davis, DJ bianco di buona famiglia, alterna il più bieco fancazzismo segnato dall’incapacità di svolgere un qualsiasi impiego “normale” a una carriera musicale contraddistinta da una sensibile mancanza di talento (ma bisogna ammettere che la competizione a livello locale è tra le più agguerrite). Davis venera New Orleans, la sua cultura e la sua tradizione, e sceglie di vivere nel Tremé, quartiere che ha ospitato i più grandi jazz cats della città. Tra le zone risparmiate dall’alluvione, conta numerose residenze agibili: quella del DJ è un esempio a quattro pareti di raro disordine, dove ogni angolo dei muri è scribacchiato con le rime delle sue composizioni musicali, che, dopo la pubblicazione su cd, regolarmente non vendono una copia. Per Davis, l’insorgere politico coincide con la gloria musicale: alcune rime scarabocchiate al bar si trasformano in un chiassoso j’accuse nei confronti dell’inettitudine del peggior presidente degli Stati Uniti, G.W. Bush (“Shame, Shame, Shame on you Dubya”) che, a suon di show e ballerine, punzecchia anche il sindaco; nonostante la campagna di Davis sia di impossibile vittoria, resta un vero e proprio inno all’affezione viscerale che New Orleans instilla nel cuore e nelle menti dei suoi abitanti.

In tanti, tra coloro che sono rimasti in città, non hanno il tempo e soprattutto i soldi per fare resistenza politica. La loro lotta è quella, quotidiana, contro i mulini a vento della burocrazia della FEMA e delle assicurazioni, tra contributi statali che tardano ad arrivare e rimborsi dell’assicurazione che saltano a causa di cavilli contrattuali inventati per non adempiere ai pagamenti di tetti da ricostruire e impianti elettrici da riallacciare. Privati e negozianti devono fare affidamento sulle proprie forze, come la cuoca Janette (Kim Dickens, Deadwood), con la quale Davis ha una relazione discontinua, che lotta costantemente per sostenere le spese per mantenere il suo ristorante aperto e resiste alla tentazione di trasferire l’attività nella più redditizia New York. Come Chef e Antoine, anche Janette è un’artista – culinaria – di immenso talento, un talento anche questo che affonda le sue radici nelle tradizioni e nella cultura locali.
Talento e arte in tal abbondanza da riversarsi tra i quartieri e a ogni angolo della città, mai silenziosa e sempre cullata dalla musica dei busker, i musicisti che si esibiscono per strada per festeggiare il carnevale, per dar voce al dissenso, per esprimere la propria arte e di quell’arte campare. Michiel Huisman in una scena di Treme Scrittori, cuochi, cantanti, musicisti: questa è l’anima di New Orleans, condivisa da chi vi è nato e da chi è stato adottato dalla città, come il tastierista olandese Sonny (Michiel Huisman, The Young Victoria) e la violinista Annie (Lucia Micarelli, musicista italo-coreana di New York), coppia di musicanti di strada unita dall’amore ma separata da un incolmabile dislivello artistico. Lui, performer mediocre e ottenebrato da droghe e alcol, lei, strabordante di talento ma incapace di separarsi dal compagno, che accompagna lo spettatore a conoscere la musica cajun. Assieme al partner ha superato i giorni gelidi e bagnati portati da Katrina e portato in salvo i sopravvissuti bloccati dall’acqua sui tetti delle proprie dimore.

Alla fine, è proprio la tradizione e la cultura di New Orleans a riunire e attirare tutti a sé: i festeggiamenti del carnevale riportano in città tanti profughi, in una girandola di ricordi e usanze impossibili da cancellare, e per le strade si riversano i carri allegorici, la gente in costume che balla e canta e suona, la Second line e gli indiani del Mardi Gras che sfilano come macchie di colore in movimento tra l’ammirazione di turisti e concittadini intenti a gustare i dolci beignet per le strade o mangiando il tradizionale gumbo bevendo Abita. É la forza e il colore e la vitalità dell’identità culturale di una comunità nel suo genere più unica che rara che si scontra con il grigiore mortifero e avvilente dell’incapace amministrazione di Washington, è Treme, capolavoro schietto e corale che non vediamo l’ora di rivedere con la seconda stagione.