Cuba (e il software) libre
L’Avana annuncia di voler migrare verso il software libero. Una questione ideologica, anche se non mancano i vantaggi materiali. Monta il dibattito fra i netizen
La libertà di facciata no
Roma – La dodicesima conferenza Informatica, tenuta la scorsa settimana a L’Avana, si è colorata di schermi marchiati dal sistema operativo comune alla maggior parte dei computer del mondo. Windows è ancora il sistema operativo più installato sugli sparuti computer dei cubani, computer che Cuba finora ha acquistato da terzi, Messico, Cina e Panama, precaricati di sistemi operativi targati Microsoft. Ma Cuba ora ha deciso di seguire le orme del Venezuela, del Brasile, della Norvegia: proselita di Richard Stallman, che alla conferenza a L’Avana ha entusiasmato anziani impettiti nelle divise e giovani informatici, migrerà verso il software libero.
Quello della migrazione verso il software libero era un annuncio prevedibile, e già ventilato dal regime negli anni scorsi. Sono di diversa natura le motivazioni che la prossima migrazione sottende: ideologia, in primo luogo, convenienza, che non guasta, in secondo luogo.
La prima è una motivazione “contro”. Microsoft, che ora anima la maggior parte delle macchine di Cuba, è l’emblema dell’imperialismo americano, a parere del Ministro dell’Informatica e delle Comunicazioni Ramiro Valdés Menéndez. Microsoft è un alfiere degli Stati Uniti e, si infiamma Valdés, “collabora con i servizi segreti americani”. Per questo motivo Cuba si deve schierare contro l’imperialismo, anche nella battaglia che si combatte sul fronte della società dell’informazione. Una battaglia in cui i sistemi operativi potrebbero giocare un ruolo significativo, forti delle backdoor che il regime cubano ritiene presenti e celate in un codice blindato.
Un’altra motivazione ideologica è rappresentata dal metodo di lavoro su cui si basa lo sviluppo del software libero: eticamente encomiabile perché basato sulla condivisione della conoscenza, il software libero è un artefatto che veicola dei valori di solidarietà, di cooperazione, sui quali si fonda una comunità.
Ma è anche un metodo di lavoro che potrebbe garantire occupazione a Cuba, e alla sua comunità di studenti sviluppatori che, presso la Universidad de Ciencias Informáticas sta lavorando a Nova, una distro del sistema operativo basata su Gentoo.
Inoltre, l’introduzione del software libero consentirebbe di affrancarsi da costi di licenze alti e dai lock-in da tecnologia, che obbligano a dotarsi di software compatibile, che costringono all’obsolescenza macchine funzionanti ma non recenti.
Si risolverebbe inoltre il problema dell’impossibilità degli aggiornamenti: Cuba, sottolinea Valdés, non potendo usufruire della rete fisica a causa dell’embargo imposto dagli Stati Uniti, è costretta ad un collegamento via satellite, da razionare perché lento e costoso, che rende difficoltosi gli aggiornamenti software. Le patch risiedono su server esteri e spesso non possono essere trasferite su server locali: le aziende sviluppatrici temono di contravvenire all’embargo. Le dinamiche innescate dal software libero consentirebbero a Cuba di rendersi autonoma rispetto alla manutenzione, di rattoppare il sistema grazie alle patch sviluppate da programmatori locali.
L’orientamento de L’Avana ha scatenato le reazioni più divergenti, una diatriba carica di connotazioni politico-ideologiche affolla blog e scrollate di Slashdot. C’è chi non esita a riscontrare analogie tra il regime castrista, confondendo realtà con ideologia, e i fondamenti del software libero; c’è chi tempera l’avventatezza e traccia dei distinguo. C’è chi considera una mossa azzardata la comparsa di Stallman a Cuba, una mossa che potrebbe inimicare il software libero a tanta parte degli USA. C’è chi ribatte che gli Stati Uniti non sono l’unico mercato possibile.
C’è anche chi obietta che Cuba, in molti frangenti, ha ben poco a che spartire con la Freedom a cui inneggia e a cui fa riferimento il software libero, ha poco a che vedere con la libera circolazione della conoscenza che Stallman predica e pratica.
Cuba compare nell’elenco dei tredici nemici di Internet, stilato da Reporters Sans Frontières: impedisce di fatto ai suoi cittadini di collegarsi in Rete, se non presso i punti di accesso pubblici; li costringe a sfidare i filtri e i controlli a cui viene sottoposto chi digita chiavi di ricerca “sovversive”.
Inoltre ha recentemente sviluppato un motore di ricerca autarchico che opera solo sulle pagine che risiedono su server cubani, dotato di una speciale funzione avanzata: ricerca di parole nei discorsi di Fidel. Cuba arresta i dissidenti per aver professato la libertà di espressione, bollandoli come mercenari corrotti dagli Stati Uniti.
L’introduzione del software libero può essere contestabile in termini di contraddizione fra ideali professati e praticati, ma potrebbe rappresentare un passo avanti per i cittadini cubani. Sono queste le contraddizioni in cui il regime castrista si dibatte da anni.
Gaia Bottà